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Dalla prefazione di Roberto Rossi Precerutti.
Leonardo Sinisgalli, una delle voci più alte della lirica italiana del Novecento, scrive:
Il cielo di fulgido sasso
si è consumato in polvere nelle mani.
Tutto quello che ho toccato
è avvizzito. Non dovevo guardare,
non dovevo sentire.
(Valle Giulia, in La vigna vecchia)
Ora, Poesie di monte, opera dell’estrema maturità di Spiro Dalla Porta Xydias, si presenta come ideale controcanto alla dolente meditazione sinisgalliana, accendendosi di un fuoco spirituale potente che s’invera nel commovente e iterato sì alla vita pronunciato dall’autore. In altre parole, scrivere è testimonianza ineludibile per costruire senso e durata, per allontanare cenere e buio.
La montagna, oggetto di una ardente passione che ha accompagnato tutta l’esistenza di Dalla Porta, è metafora centrale del percorso poetico, “pietra che si offre e propone / a chi cerca la via verso l’Alto” (I due Campanili), figura di un “ascendere” che è disciplina, sudore, sangue e fatica e, insieme, premio, liberazione, riscatto.
Una sorta di nietzschiana fedeltà alla terra si sublima non contraddittoriamente in uno sguardo filosofico che, tra suggestioni leopardiane e pascoliane, abbraccia l’infinità cosmica:
cinquanta miliardi
di altre galassie,
con miliardi di astri ciascuna,
si ammassano dirigendosi incerte
verso il mistero del nulla,
l’immane vuoto infinito
(L’oltraggio)
Tuttavia, la contemplazione degli interminati spazi celesti, dei remoti nodi stelle, non si esaurisce mai nella agghiacciante scoperta della finitudine dell’uomo o nella vocazione a un pensiero negativo che ditrugga gli alibi consolatori di qualche usurata metafisica, ma diventa, quasi misticamente, itinerarium a una superiore condizione, a un modo d’essere e di sentire più che umano.
L’occhio di chi sale l’impervia parete rocciosa, lasciando indietro le mortificanti pastoie del vivere quotidiano, attinge a una luce perenne, come di compimento e perdono. Si respira, nelle pagine della raccolta, un’atmosfera dantescamente purgatoriale, costituendosi il monte in espiazione e rifugio per colui che ha saputo rendere testimonianza di tenacia e coraggio.
“Il faut tenter de vivre!”: è questa l’invocazione che Paul Valéry pone a conclusione del Cimetière marin. Ebbene, le Poesie di monte di Spiro Dalla Porta Xydias, pur nella loro esibita antiletterarietà, paiono andare oltre il presentimento di fusione con l’infinito dello scrittore francese, proponendosi, nella folgorante certezza dell’ultima salvazione, quali stazioni di una religiosa meditazione sul mistero della vita e della morte e sulla fragilità del nostro fiorire:
Qual’è il vero?
La notte di tenebra e tempesta
che piega e ferisce il cipresso?
O gli alberi dritti, felici,
inondati dai raggi
del sole d’Amore?
(Fides)
Roberto Rossi Precerutti
formato 12x20
72 pagine
brossura
collana poesia
prezzo di copertina € 13,00
ISBN 9788866080398